lunedì 15 ottobre 2012

Pianto amaro






Non udì,
arroventato d’aneliti predomini
mentendo,
lui
insolita piaga di un’ umana debolezza,
digrignò
lussureggiante dolore.
Iracondo,
follemente penombra
d’una turpitudine
che a lui divenne manto d’un pianto amaro
sul crepuscolo della sera.
( Enrica Meloni )



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lunedì 10 settembre 2012

Lacrime d'acacia






Un’altra alba sorge nel delirio di una femminilità che mai ho domandato. Donna, spirito nomade in sterpaglie di tormenti, che come fronde di torpore attanagliano senza pietà il mio pianto. Non riposo, giaccio muta, medito, mi sento errante, un passo calpestato tra le polveri del tempo. Nulla mi è giusto, poco comprendo se non la fragilità del ricordo. Mi sento sola, né madre né moglie, io, come trama d’un tessuto ferito, strappato dalla foga dei tormenti. Abrascico¹, focolare del mio strazio, un rudere solitario , inghiottito da una montagna che respira dolori.

 Ogni bambina qua riecheggia pietà, ma mai nessuno ascolta il suo grido. Ogni seno ha già prematuramente riversato nutrimento per i calvari, ogni ventre è stato parto di un’infanzia già fin troppo adulta per essere considerata tale. Noi, infelici figlie di un’immeritata Sunna², orfane d’un Dio che ci ha cullate su macabre tele dalla vernice di sangue. Ogni Eritrea ha il suo flagello, una piccola stonatura terrena, imposta da un’abitudine ordinaria al di là del lecito. Perché ho dovuto rinunciare alle mie carni? Chi sono ora nel mio corpo nudo di dignità? Mai nessun niqab³ sarebbe in grado di coprire la mia amarezza. Ogni capanna possiede il suo segreto, un dolore insanabile, insicuro come il suo tetto di rami che incede agli eventi del tempo. 

Quel panno ignobile, pezza purulenta di un sudore di vecchia, ancora nauseabondo, non scompare, mi assale, percuote la mia mente; come frusta di pelli seccate dilania i miei pensieri e m’invita al tremore. Già, tremore, proprio questo! Quel compagno ripudiato che accompagna ogni mio giorno, quell’ombra malaugurata, che la mia urina combatte ogni qualvolta io devo liberarmi da un’acqua che scorga lenta e tardiva, uno scorrere punitivo di una colpa che mi è stata imposta: esser donna. 


Io, priva di piacere, solitaria, essere dalle perdute labbra ritrovate poi in altre che urlano giustizia. Ecco, questa è la mia umana sorte! I miei polsi tanto uguali quanto diversi, il destro gridò, reclamò la tregua che mai giunse. Lussato, sofferente dal divincolarsi di quei movimenti che infliggevano dolore. Io, supina nella penombra di quel dormitorio che di me faceva ancella del martirio. Gesti, nati e  scoordinati nella disarmonia delle mie grida; donne che testimoni ed assassine sfoggiavano mani ree di una pesante tortura. Una propiziazione alla vita che albergava in me come aculei cocenti d’assordanti silenzi.

 Lo sguardo di mia madre era prepotente, severo, una vera gogna che mi obbligava a tacere.
-Come avrei potuto non pronunciare alcuna parola nel momento in cui il mio corpo era succube del tormento?-
 Il ventre che partorisce, spesso tradisce le sue figlie, rendendole plasmabili al furore di un atroce destino sociale, le svende al miglior offerente. Uno sposo è come un mercante errante, si appiglia alla sua mercanzia valutandone il valore. Si, noi, frutti ancora acerbi, avremmo dovuto essere cibaria pregiata per sapori maturi, per palati sopraffini, per menti ancora mediocremente ferme all’egoismo di una cinica forma di spregevole usanza. Noi, dalla pelle marchiata di pianto, bassi ventri inaspriti da sensualità sconosciute.
-Forse sono un’anima destinata agli angoli scordati dal mondo?-


 Tutto questo m’intorpidisce ogni respiro, inalo aria che di purezza non porta neanche il nome. Intaglio gemiti di rabbia, riversata ad ogni imbrunire in una nenia dall’insanabile maledizione. Anche i miei capelli appaiono straniti, come offesi, stentano a mostrarsi vivi. Loro, steli spenti fra le polveri d’inanimate ciocche. Inariditi dagli strappi iracondi, che la sorella dell’aguzzina, non aveva stentato a provocarmi, quando io, oltre il limite del dolore, farneticavo sofferenza, agitandomi, come se un avo stesse giocando con il mio corpo dagli antri più cupi della sua vita oltre la terra. 

Vivevo come spirito dello spasimo, digrignavo i denti fino a che qualcuna pensava di soffocare il  mio sfogo con un panno che sapeva ancora di bestiame; un sapore nauseabondo, un olezzo che risaliva alle mie narici provocandomi del vomito, il quale per me era diventato un intoccabile diritto. Si, avrei dovuto liberarmi di quel macabro senso di tormenta, come avrei anche potuto evitare di essere là, s’una schiena, oramai divenuta perno sacrificale di una vita conclusa ancor prima d’iniziare.
-Come potrei pensare di essere donna nel momento in cui i miei stessi occhi non vedono ciò?- 


Mi guardo, scorgo il mio sguardo lungo il mio corpo. Contemplo mani esili, piedi a lutto, solcati in una terra che assorbe esauste pene di travagli inesauribili. Sono moribonda alla vita, non scordo, non voglio farlo. Voglio ricordare affinché ogni passo del martirio, resti saldo nella mia mente, e mi renda cosciente del fatto che io non sono donna, sono semplicemente quel che rimane di essa, un lontano ed offuscato ricordo, un rimbombo risonante in un tempo fermo all’ora dell’orrore. Noi, destinatarie di uno scempio che ci rende analfabete al godimento, ignare di quel che la natura ha a noi donato, per poi inerme, vederlo derubare da madri prive di pietà. Una madre eritrea nasce disgraziata ed in dote dona la sua stessa malasorte alla propria figlia, un dono anomalo in un legame che avrebbe dovuto essere tanto amabile. 


La follia innescata dal patimento, accresceva il premere di quelle luride unghie che cingevano le mie braccia come morse impenitenti. Vigorose e penetranti, solcavano la mia pelle con totale padronanza.
 <<- Non parlare, Non muoverti!->>
Esclamazione incomprensibile, rivolta ad un’anima che vuol ancora esser un tutt’uno con il corpo nel quale dimora.
<<- Soffri ora e domani avrai un marito!->>
-Cosa avrebbe potuto rappresentare un uomo, in quegli attimi in cui, proprio per questo la mia dignità era stata sgretolata in una poltiglia di saliva, sangue e pelle, destinate all’asprezza dei giorni avvenire?-
- Chi era costui?-
- Cosa avrebbe avuto in più di me tanto da dover pretendere questa illogica agonia?-
 Lui, propugnatore di pretese, assecondate dal masochismo irrequieto di donne che si auto annullavano compiacenti del loro stesso dolore. Ottuse, portate alle dicerie d’effigi superstiziose che come simulacri aperti, liberavano insulse tesi su quella che avrebbe dovuto essere la vera virtù. Mentitrici! La mia credibile esistenza sarebbe stata quella concessa dalla natura, che loro invece, spietatamente erano solite correggere. 


-Come potrei essere beata ad una vita che mi ha punita senza che io potessi permettermi di difendere il mio orgoglio?-
 Si quel senso di dignità che ogni donna merita mostrare e far valere dinnanzi agli scempi del mondo. Ogni pianta di euforbia è come se simboleggiasse volti strappati alla pace delle giornate. Osservo questi fusti che s’innalzano, sperando d’incontrare la fertile luminosità del sole, ma che allo stesso tempo vivono perenni, ricolmi di spine che a stento fioriscono in petali di gradevole visione. Tante radici, altrettante sfortune, che camminano con le gambe serrate per nascondere il dolore.

 Ogni figlia è come un vegetale, agonizzante nella siccità, pronto alle difensive dai parassiti. Tarda a morire e sofferente di fronte all’apparenza di chi la scorge senza capirne i tormenti. Una donna è come un’euforbia, a differenza del fatto che mentre una viene potata, l’altra no. Proprio noi, forme vitali, recise come rami insignificanti, per poi essere gettate sulla brace del dimenticatoio.
-Perché ferirci, interromperci, spartirci come tagli di prima scelta, presentati poi come onore di una famiglia che per noi non ha fatto altro che mostrare solamente  la propria miserabile lama?-
- Dov’era Dio?-
Sia Cristiane, sia Musulmane pativano lo stesso identico dolore, uguali al tribale abominio di un credo che nulla ordinava. 
Era solo miserrima superstizione! Qualcuna ripudia il vetro, lo sente ancora nelle sue carni, lo fa suo senza volerlo. Trema, lo ascolta, lo cerca ritrovandolo nella sua angoscia mai sanata. Io, ne ricordo solamente l’opaca trasparenza, sporcata da una latrina di arretratezza che ferì generazioni di sorelle, concepite dallo stesso destino.

 Per me è stato sempre solo un coccio inutile, io provavo ben altro dolore: una lama affilata, una forbice, entrambe firmate da un modernismo post coloniale che sicuramente non placava i miei tormenti. Sai che consolazione, diventare sperimento di lame ancora nuove, mai usate, acquistate in un mercato lontano che nella tua terra  aveva portato altro dolore. Le lame occidentali hanno un taglio netto, perfetto, sicuro ed infallibile, le carni scure di una donna eritrea erano oramai i committenti fedeli di una spietata compravendita di metalli, arrugginiti dalle urla maniacali di povere meschine che pagavano il loro destino con la moneta della loro stessa pelle. 

Secondo mia madre, avrei dovuto sentirmi fortunata, orgogliosa di diventare una vera donna, segnata da una lama prediletta, mai immersa nel sangue di un’altra. Sicuramente non mi avrebbe condotto alla morte come invece era accaduto a quelle bambine, divorate dalla setticemia e dal tetano in una graduale e lenta agonia.  Io sarei rimasta pura, quanto vergine era la lama che avrebbe dovuto iniziarmi alla vita. Una volta sottoposta allo scempio, avrei dovuto essere una meta ambita per un sodalizio che non desideravo, avrei generato altre infelici, mi sarei depurata di ogni espiazione spirituale ed il mio corpo avrebbe avuto un’igiene, riversata poi in un’estetica a parer mio inguardabile. 

Se questa avrebbe dovuto esser la vera femminilità, avrei preferito decedere inanime in un cimitero invalicabile, nel quale nessuno avrebbe potuto accedere, concedendomi cosi un riposo assolutamente meritato. Desideravo morire, ma mai i miei avi erano giunti a prendermi, a condurmi dove, loro indifferenti assistevano senza far nulla a questo supplizio. Li chiamavo, supplicavo, ma mai nessuno di loro mi era stato vicino come io speravo. Alcune bambine decidevano sul loro stesso destino, da sole, al barlume del segreto, adagiate dentro i capanni dello sgomento, dilaniavano la loro stessa carne, affinché altri non lo facessero prepotentemente  senza alcuna pietà. Mia sorella, mi guardava. In lei lacrime di follia. Gemeva in rantoli di saliva mentre il suo sangue sgorgava da un piccolo e timido clitoride che mai nessun male aveva commesso. 

Un innocente frammento di vita, gettato sulle sterpaglie di una terra che l’aveva avuta in un pasto gradito, richiesto ancora, ed altrettante volte ancora, una prelibatezza dal retrogusto amaro.  Lei, era coraggiosa, io, concessa alle decisioni di quella persecutrice che tra le mie cosce, incise un marchio che mai avevo richiesto. Mia madre percuoteva le mie gambe, le altre come ancelle e serve di una sovrana dannata, porgevano il loro aiuto che di certo non era offerto a me. Lenta, la lama lacerava il mio essere, intralciava quello che era mio, urlai. La morsa del dolore mi aveva fatto perdere coscienza della mia offesa femminilità. Una parte di lucidità l’avevo ancora  mantenuta,  dinnanzi a quel sangue che bagnando i piedi della carceriera, diventava un rigagnolo di detestabili imprecazioni che ripetevo fino al massimo livello della nausea. Ecco, da quel momento i miei genitali erano scomparsi.  Maledetto rito!  Rimuginavo rabbia, legata da filamenti di seta rovinata, sentivo le mie anche e le mie gambe, prigioniere di un filo brutalmente azzurro che di cielo nulla aveva. Tre settimane di attesa, schiava di una posizione che mi avevano maldestramente imposto. Ero indebolita da quei crini che ricucivano le mie carni, accompagnati dalla smania delle spine d’acacia che diventavano la sutura di una piaga destinata mai a rimarginarsi. In Eritrea anche la più normale prestazione medica era improvvisata. Tutto per me era afflizione, specie quando pensavo al giorno in cui, quel dannato, ancora incognito sposo, avrebbe dovuto nuovamente tormentarmi, riaprendo quella ferita, diventata irreparabilmente orifizio di sofferenza. I miei genitali esterni, adagiati sulla pietra vicina agli esili armenti del villaggio. Le mie labbra seccarono alla luce del giorno, diventando poi dimora d’insetti che ne facevano un’ambita culla di ritrovo. Sotto il mio ombelico, una cenere scura confortava il mio patire. Spesso mia madre detergeva la parte con dei tuorli d’uovo che si attaccavano sulla pelle emanando una scia di pena capitale. Un calvario che racchiudo nelle memorie di una oramai incanutita e miseranda Eritrea, dall’utero diventato carcere di quel diritto umano, che mai ho conosciuto. Piango, calpesto il profumo di quell’acacia che adorna la mia terra facendo razzia della mia dignità. Io, donna fra le donne, misera ombra di una lacrima mai consolata.

In memoria delle donne eritree sottoposte alla dilaniante pratica dell’infibulazione, bandita  e ritenuta illegale dal Governo eritreo solamente dal 31 Marzo 2007.









        Note:

        1.Abrascico: Villaggio dell’Eritrea, particolarmente suggestivo per le numerose piante di euforbia
        Che caratterizzano l’ambiente circostante.

2.Sunna: Costume o codice di comportamenti all’interno della società. Termine di matrice islamica che  richiama i costumi della tradizione di un paese. Una raccolta di condotte che il Profeta ha assunto in differenti occasioni, pertanto divenute nel tempo esempi da seguire da parte di tutta la comunità.

        3.Niqab: Velo islamico che copre integralmente il viso della donna lasciando scoperti
                        solamente gli occhi.

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martedì 21 agosto 2012

Estasi

 


 

 

Decantico prosaico,


licenza ove il gaudio prescruta movenza.

Neologismo d’ebbra calura,

muliebre oltre il ramingo percorso.

Lingua mai muta,

coltre venerea 

adagiata nell’arca

 d’un monte scremato da lievi tocchi di sapore.

Gusto di mieli noti

alle papille del triduo corporeo.

Festosità di nudità danzanti, 

coloriti orgasmi d’innata santità.

Non giudicar, 

faziosa patrizia!

Tu,

che d’estasi crocefiggesti chi d’illusione t’amò.

( Enrica Meloni )

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sabato 7 luglio 2012

Donna

Donna,
lauta manna d’amabile vitalità,
verbo d’incanto,
solenne vicissitudine di cullanti echi.
Solfeggio di note mai lontane,
rintocchi sul suolo d’amore,
percorso in egregi passi
donati a te nella speranza di un rigoglio di generoso avvenire.

 

( Enrica Meloni)

 

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sabato 30 giugno 2012

Sospiri










Oltre i dogmi d’una carnalità opinata,
 tu draconiana  voce d’intoccabile forma sei.
Abile nell’amabilità del tempo
t’ assiepi come rupe maestra sullo sguardo mio.
Incastonar di pregi perentori,
dolci,
munifici,
 inesorabilmente tuoi.
Parole del tuo pronunciare
 come voli dell’infinito mai errante.
Udibile nei silenzi di mie lontane polveri,
brandelli di strascichi d’un logorio da te lenito.
Tu,
 cura dei miei affranti deliri,
musicalità d’effusioni solitarie
che a te inneggiano rimembrandoti in amabili sospiri.

(Enrica Meloni)

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lunedì 25 giugno 2012

Ingentilite guerriere






Rosee e mai servili cupidigie d’ingentilite guerriere,
mai vaganti nell’arsura d’incomprese alcove,
lor, vece come intrigo di copiosi sintagmi.




Amanti di celeberrime gesta operose,
generanti gemiti vitali,
sospiranti opere in quotidiani annali.




Sguardi come brunelleschiani dadi,
lumi votivi sulla beltà d’antiche forme.
Integerrime muse al volto della quiete.





Fioriture nel suolo d’epoche remote,
albe nella posa del rinascere,
donne, foce d’estri beati.

( Enrica Meloni)

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mercoledì 30 maggio 2012

sabato 26 maggio 2012

Siliqua


Muliebre,
donnesco eco d’integerrimo storicismo.
Angusta nel delirio del timore di non esser mai scordata.
Tu,
dantesca citazione,
ventre di un’annosa rocca,
arcaico parto di cartigli rivisitati nei tempi.
Grafia di remoti tributi,
mormorio di scrutanti genti alla ricerca d’un tempo perduto.
Annali di ricongiunti tradizionalismi,
smarriti orbaci nel contempo del rinnovamento.
Sii tu,
possedimento di laute risorse,
queste, stabili novizie all’ascesa della beltà.
Clemente mente del rimorso dell’olezzo di chi t’ingiuria,
cullante i respiri miei, adombrati sulla fanghiglia di bocche dannate.
Ugola di quel pasto che indigesto, esacerbò in luridi pulviscoli di decadente classe.
Paese dai ridenti pertugi,
flora in profumi di rinascita,
fauna nei bestiari d’animaleschi volti ancor noti all’ingorda vanagloria.
Ancor tu,
mai traviata,
ferma, assordata ma ancora udente.
Taci,
attendi il giorno in cui voce libera sarai,
nei mie passi indelebilmente vivrai.

( Enrica Meloni)


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giovedì 26 aprile 2012

VI Festival Internazionale della poesia " PALABRA EN EL MUNDO"


VI EDIZIONE DEL FESTIVAL  INTERNAZIONALE DI POESIA
“PALABRA EN EL MUNDO”

La poetica s’effonde ovunque la cultura venga accolta come matrice portante di costruttivo arricchimento umano. A riguardo, “ Palabra en el mundo”, una manifestazione annuale, attualmente giunta alla sesta edizione, alla quale di consuetudine vi partecipano 750 paesi del mondo, si prefigge di divulgare ciò. L’accezione mondiale dell’evento diviene un caposaldo non sottovalutabile per l’incontro e l’approccio social-culturale delle località e degli individui aderenti. Il fondamento cardine della rassegna è basato sull’unione dei popoli in un unico comun denominatore, ossia la Pace, quest’ultima divulgata, espressa e condivisa attraverso il mezzo poetico. Una manifestazione, che nella totale gratuità della mediazione tra diversità antropologiche e geografiche, riesce ad essere efficacemente ravvivante ed utile nell’approccio dell’individuo con il mondo.
In qualità di partecipante, io Meloni Enrica, Credendo personalmente nelle potenziali risorse della poesia, e soprattutto che anche tale attività possa esser fiorente di un positivo input alla comunicazione cosmopolita.
                           
 LE RESPONSABILITÀ ATTIVE VERSO LA CULTURA.
La rassegna è sita ovunque si conduca un percorso comunicativo sull’uguaglianza umana. Individualmente, ciascuna mente manifesta il libero arbitrio, nel divulgar un soggettivo comunicato di pace culturale attraverso l’organizzazione d’eventi, letture, collaborazioni dirette tra artisti e tutti coloro che vogliano in nome della Pace, donar un proprio contributo alla realizzazione della riscoperta poetica, che potrà esser diffusa in larga scala tramite differenti organizzazioni espressive, ogni singolo individuo è in modalità diretta invitato ad esser partecipe. Istituti d’istruzione, biblioteche, associazioni culturali, testate giornalistiche e emittenti radio sono vivamente incentivate e sensibilizzate a questo meritevole incontro culturale. Il Giornalino di Siliqua, dona senza scopi di lucro, lungi da qualsiasi mercimonio, la sua presenza diretta all’evento, delineando cosi la propria opera esplicativa negli annali di quella pace, marginalmente ancora subordinata in svariate nazioni del mondo. (Nella foto, Rech Annalis, l’albero della pace).
 
Palabra en el mundo diviene un’etica coscienziosa, un’esorcizzazione graduale a qualsiasi forma discriminatoria presente nel contesto sociale. La strumentalizzazione del mezzo poetico è un risvolto autentico verso un riscatto spirituale degli uomini. Poesia, come metodica spirituale di un ricrearsi, opposto al depauperamento dei limiti infecondi che un sistema di non conoscenza, privato d’ istruzione e valori morali, renderebbe la pedagogia d’ogni individuo tentennante e irascibile alle positività del rapporto con culture di differente  identità. Un verso collocato in strofe dal fraterno messaggio, spesso diviene fonte d’ inesauribile ausilio verso una visione del mondo tanto più completa e cosciente quanto solidale e cooperante. Il donare versi è uno scambio forte ed incisivo, non solo tecnica letteraria ma anche epistola di pace. Non solamente rime fine a se stesse ma anche comprensione dell’altro.
DIVULGAZIONE ED ADESIONE ALL’EVENTO:
Chiunque volesse render la poesia, fioritura di un messaggio di fratellanza pacifica rivolto ai paesi di diversa nazionalità o anche semplicemente a coloro che sono a loro prossimi, potrebbe sviluppare e far conoscere la propria creatività poetica aderendo all’iniziativa e seguendo le indicazioni presenti nella scheda sottostante riproposta anche nella nostra testata.


I dati richiesti:
Ad ogni organizzatore si domandano i seguenti dati, che verranno inclusi nel programma generale del Festival e diffusi nel mondo

Nazione, città o paese:
location scelta per l’evento: (es. Scuola, caffè letterario Pasolini, etc.),
giorno: ( E’ possibile realizzare un’iniziativa al giorno per tutti i giorni di Parola Nel Mondo), generalità organizzatore:
generalità poeti partecipanti:
e-mail di riferimento:
eventuale patrocinio di:

Ogni organizzatore dovrà comunicare, a fine evento, un sunto dell’esperienza che verrà divulgato tra i canali internazionali di competenza del Festival.
Riferimenti, info, adesioni per l’Italia: G.Mulas – mulasgiovanna@yahoo.it /direzioneisolanera@yahoo.it
Tito Alvarado (presidente honorario Proyecto Cultural Sur) pcsur@aei.ca
Gabriel Impaglione (director Revista Isla Negra) poesia@argentina.com
Alex Pausides (presidente Festival Internacional de Poesía de La Habana) proyectosurcuba@uneac.co.cu
Equipo de comunicación:
Carolina Orozco (Responsable del blog oficial del Festival) pcsur-nc@colombia.com
Cintia Oliva (responsable página web del festival) -cinoliva@gmail.com;



La partecipazione non esenta nessuno, dar un proprio contributo alla pace è un gesto inopinabilmente apprezzabile. I poeti, senza tacere discorrono spesso, operando anche in maniera silenziosa nelle più sconosciute forme di sostegno sociale, essi sono l’emblema della lotta contro l’emarginazione, i sostenitori delle cause a favore dei più deboli, sono menti, in taluni casi, depoliticizzate ma temerarie nel ricercar quel riscatto esistenziale, che ancora tanti individui non possiedono. Sono i fautori di traguardi ambiti, figli di quella speranza che mai cessa di manifestarsi nei contesti d’ogni anfratto di mondo. Sono parole, pronunciate nei silenzi di chi dormiente, non s’accorge che rinunciando al riposo, essi continuano imperterriti a parlar alle società in attesa d’esser uditi. Poeti, esponenti d’un sostegno all’umano, d’apparente sola retorica ma di marcata efficacia.
POETI, INESAURIBILI VOCI AL COSPETTO DEI REGIMI.
Cesar Vallejo
 
Poeta peruviano, esponenziale mano poetica della cultura ispanoamericana del secolo XX - assieme a Neruda e Huidobro - e una delle voci più originali della lingua spagnola.
Un testimone di morti, corrose dall’empietà arbitraria d’un sistema politico lesivo per le genti della sua patria. Incessante ricercatore della salvezza dopo l’espiazione delle torture sociali dell’epoca; solidale con i meno abbienti abbandonati del sistema capitalista. In diverse tappe della sua instancabile opera umana si notano gli influssi del modernismo, l’ avanguardia, l'indigenato, la poesia sociale e l'impatto di eventi storici come la Guerra Civile Spagnola. Autore di "Los heraldos negros" (1918) e "Trilce" (1922). Scrittore antifascista, visibilmente riconoscibile dall’opera "Tugsteno".
 Gli araldi neri
Ci sono colpi nella vita, così forti…io non so!
Colpi come l’odio di Dio; come se di fronte ad essi,
la risacca di tutto il sofferto
ristagnasse nell’anima…Io non so!

Sono pochi; però sono…Aprono solchi scuri
nel volto più fiero e nel lombo più forte.
Saranno forse i puledri di barbari Attila;
o gli araldi neri che ci invia la Morte.

Son le cadute profonde dei Cristi dell’anima,
di qualche fede da adorare che il Destino bestemmia.
Questi colpi sanguinosi sono i crepitii
di qualche pane che sulla porta del forno ci si brucia.

E l’uomo…Povero…povero! Gira lo sguardo, come
quando una pacca sulla spalle ci chiama;
Gira gli occhi pazzi, e tutto il vissuto
ristagna, come una pozzanghera di colpa, nello sguardo.

Ci sono colpi nella vita, così forti…Io non so!

Lauro De Bosis

Esempio antifascista fin dalla marcia su Roma, nel 1924, presente in territorio statunitense in qualità di promulgatore di conferenze dal carattere storico, letterario e filosofico dalla società Italo-americana di New York. Qui imperterrito, dibatté il suo dissenso verso   i metodi della dittatura fascista in patria e per la sfrontata propaganda che gli agenti di Mussolini facevano per il dittatore. Si ricorda la sua opera poetica “ Icaro” del 1927.
LOTTA ISOLANA NELLA POETICA CONTRO IL POTERE ED I SOPRUSI.



Don Francesco Ignazio Mannu (Ozieri, 18 de maju de su
1758 - Cagliari, 19 de austu 1839) fizu de sos nòbiles Giovanni Michele e Margherita Ruig. Aiat istudiadu in Utieri e in s'Universidade de Tathari inue si fit laureadu in Leges. Poi 'e sa làurea si fit trasferidu a Casteddu inue aiat pratigadu sa carriera legale. Finas si fit vicinu a sas positziones polìtigas de Giovanni Maria Angioy non dd'aiat subidu cunsecuèntzias, difatis in su 1798 faghiat parte de sos tres nùmenes propostos su 1 de martu dae sa Reale Udientza pro sa càrriga de Vice Intendente Generale. Franziscu Mannu at iscritu s'innu Su patriottu sardu a sos feudatarios.
( TRATTO DA P. A. Bianco - F. Cheratzu, Su patriottu sardu a sos feudatarios, Sassari, 1991 )
Procurade de moderare
Procurad'e moderare
Barones, sa tirannia
Chi si no, pro vida mia,
Torrades a pés in terra
Decrarada est giaj sa gherra
Contra de sa prepotentzia
Incomintzat sa passentzia
In su pobulu a mancare
Mirade ch'est pesende
Contra de bois su fogu
Mirade chi no est giogu
Chi sa cosa andat 'e veras
Mirade chi sas aeras
Minetan su temporale
Zente cunsizzada male
Iscurtade sa 'oghe mia
No apprettedas s'isprone
A su poveru ronzinu,
Si no in mesu caminu
S'arrempellat appuradu;
Mizzi ch'es tantu cansadu
E non 'nde podet piusu;
Finalmente a fundu in susu
S'imbastu 'nd 'hat a bettare.
Su pobulu chi in profundu
Letargu fit sepultadu
Finalmente despertadu
S'abbizzat ch 'est in cadena,
Ch'istat suffrende sa pena
De s'indolenzia antiga:
Feudu, legge inimiga
A bona filosofia!
...
Custa, populos, est s'ora
D'estirpare sos abusos
A terra sos malos usos
A terra su dispotismu
Gherra, gherra a s'egoismu
E gherra a sos oppressores
Custos tirannos minores
Est pretzisu umiliare
Si rammenta che questa è la versione comunemente nota e divulgata, i documenti storici ne rilevano una versione integrale composta da un numero maggiore di strofe, chi fosse interessato alla lettura potrà reperir il testo al seguente link: http://www.ildeposito.org/archivio/canti/canto.php?id=174.

LA VOCE DEI POETI CONTEMPORANEI, IL LORO CONCETTO DI PACE ATTRAVERSO LE PAROLE NEL MONDO.

Gianni Mascia (© foto di Maria Luisa Carrada, 2012)
 

 <<-Palabras en el mundo è la dimostrazione che un altro mondo è possibile! E’ possibile cambiare il mondo con la poesia, è possibile cambiare il mondo con la bellezza, è possibile cambiare il mondo con la nostra rivoluzione umana che spandendo semi di nuovo umanesimo può determinare un cambiamento radicale arrivando al cuore della gente ne cambia lo stato vitale e purifica le anime lavandole dal veleno della spotizzazione imperante, invitando a viaggi interiori, a navigare nel mare dello spirito in antitesi all’andare di  questo pianeta impazzito e martoriato dai suoi abitanti che vedono nel dio denaro l’unico valore da adorare. Poesia è taumaturgia, è catarsi, è leggere tra le righe nella tristezza e nell’allegria. Dove c’è poesia non può esistere la guerra, dove bellezza alberga non c’è posto per egoismo e tirannia e l’ingiustizia diventa un’utopia. Hasta la poesia, siempre!->>.
Il poeta dona questi suoi versi, rivolgendoli ad ogni lettore che nel simbolismo della pace si capacita d’ascoltare:

E poi ci sei tu, poesia, sempre più mia,
negli echi di luce a respirare amore,
mano tesa nel buio nuvole a sgomberare.
E cantamelo tu quel canto magico che incanta
e narrami il racconto del tempo senza tempo
che filtra negli interstizi ad azzurrare spazio
e caracolla in lampi di follia, là, tra la folla,
nel viaggio temporale del ritmo universale sale
e impregna il mondo di malinconia nel dissodare
i solchi siccitosi di terra calcinata dal sole,
il sole che finisce in sale nell’arida allegria
dei vuoti a perdere di vacue vite a consumare,
negli angoli remoti di guerre in terre di gramigna,
abbandonate nella mente della gente ansante.
E allora, ancora, ci sei tu poesia, sempre più mia.
E cantami di nuovo quel canto che incanta ed è luce,
è acqua che scorre a dissetare anime riarse,
è vento e seme che soffia inseminando il ventre
di madri assopite al suono della nenia che rinasce
a disvelare il mistero della vita sussurrando
nel caldo vapore di labbra schiuse in armonia.
Gianni Mascia


Francesco Masia
<<- La pace!!
Invocarla a gran voce dai quattro lati del pianeta in una riunione poetica con semplicità e naturalezza esprimendo “parole dal mondo” e “voci dal vento” in quelle fatidiche 5 giornate di maggio.
Tula lo fa da tre anni con determinazione col suo festival, per unirsi ad altri 750 paesi nel mondo per gridare univocamente a quel bambino che legge poesia in un canto collettivo affinché la fraternità sogni con noi il miglior futuro per tutti->>.

Un dono poetico del poeta come omaggio riflessivo sull’essenza del progetto:
Oh paghe, tue chi attis bonos disitzos -                                          Oh pace,tu che porti sani desideri
e ti pones in conca piangente                                                           corona mettendoti in capo piangente corona
de isteddas in chelu reina                                                                  e padrona di stelle nel cielo regina e padrona
e in terra natia atzendes sos litzos                                                   in terra natia illumini i volti
che mama soberana cun bonos cussitzo                                         come buona madre con sani consigli
a tottu su mundu macchine perdona                                               al mondo intero pazzia perdoni
pontzende in su mundu gherras a parte                                          mettendo guerre nel mondo a parte
inondendedi tue, de poetica arte.                                                     inondandoti tu, di poetica arte.
Frantziscu Masia



Parole dalla sarda penna del Masia:
Oh paghe, tue chi attis bonos disitzos
e ti pones in conca pianghente corona
de isteddas in chelu reina e padrona
e in terra natia atzendes sos litzos
che mama soberana cun bonos cussitzos
a tottu su mundu macchine perdona
pontzende in su mundu gherras a parte
inondendedi tue, de poetica arte.

Frantziscu Masia

TRADUZIONE..

Oh pace,tu che porti sani desideri
mettendoti in capo piangente corona
di stelle nel cielo regina e padrona
in terra natia illumini i volti
come buona madre con sani consigli
al mondo intero pazzia perdoni
mettendo guerre nel mondo a parte
inondandoti tu, di poetica arte.

SEGNALO UN’INTERESSANTE RASSEGNA:

Ci convochiamo per costruire il possibile e l’impossibile.

Il 19 maggio a Tula si svolgerà la III° edizione organizzata dall’Associazione Culturale G. M. Baravaglia, nell’anfiteatro comunale a partire dalle ore 18 parleranno di pace al mondo:

I poeti : Francesco Masia(Tula); Stefano Demelas(Chiaramonti) ;Giuseppe Pintore (Ortueri); Lussuriu Cambiganu(Pattada); Salvatore Sini(Berchidda); Gabriel Impaglione(Buenos Aires).

Le poetesse :Annamaria Careddu( Tempio); Giovanna Lai (Ozieri); Tetta Becciu (Ozieri); Marina Mastino (Olbia); Vittoria Carzaghe(Laerru);

Le scrittrici e poetesse: Giovanna Mulas(Lanusei); Enrica Meloni(Siliqua).

Reciteranno : Carmela Arghittu (Pattada): Paola Manca(Tuscania); Feliciana Cocco (Tula): Nino Pericu(Oschiri):

Canteranno: Gianluca Cotza(5° moro) Lucia Budroni; Carla Denule; Manuela Gruada; Il coro "Città di Ozieri".

Il critico D’arte Roberto Carta e il Tipografo Gianni Biddau illustreranno
il libro” Boghes dae su bentu”.

Le pittrici Daniela e Anna Squintu esporranno le loro opere poetico-pittoriche.

Conduce la serata Don Giacomino Fara.

Al Mixer il musicista Giovanni Becca.
La manifestazione gode del patrocinio della Provincia di Sassari dei comuni di: Tula; Oschiri; Ozieri; Chiaramonti; Erula e Laerru.
Il tutto sarà trasmesso da varie radio nel mondo attraverso Radio Genesis di Buenos Aires
condotta dalla giornalista Teresa Fantasia.

A fine serata saranno consegnati gli attestati di presenza..

 ( Opera di Francesco Furini, Pittura e poesia)

Rita Pacilio
<<- 'La poesia è una gioia che si partorisce tra destini complici nelle radici delle cose' .
E se la poesia non è altro che l'immagine meravigliosa dell’ esistenza stessa posso tranquillamente affermare che anche la Pace, l'Amore universale o la Tolleranza sono gioie, come la poesia, che si trovano nelle radici semplici delle cose e che nascono dalla comunione di forze interiori. Ecco il segreto che le accomuna: la semplicità! Hanno origine nella chiarezza elementare tutte le cose che appartengono all’universo infinito. La Pace intesa in questo senso, non è solo un valore sociale o un concetto filosofico, applicabile ad un macrocosmo più o meno organizzato, ma diventa comunicazione e metro di valutazione, di consapevolezza personale attraverso cui educarsi per meglio formare ed istruire. ‘Chi altro può parlare di Pace con la certezza che essa è possibile, se non tu, che hai il vantaggio di attingere a piene mani al fondo di quella riserva utopica che ti ha dato il Signore?’ (‘Omelie e scritti quaresimali’ don Antonio Bello.) La Pace è un percorso intimo di rispetto dell’altro e di confronto al fine di conoscere i propri limiti e quelli altrui camminando verso la sacralità delle persone. Infatti non c’è Pace quando ci si inorgoglisce di fronte allo sgarbo ricevuto, di fronte ad un torto, una mancanza, anche non volontaria. La Pace dovrebbe essere un modus vivendi, una continua applicazione possibile affinché la crescita umana e sociale vada verso evoluzioni sostanziali sul piano intellettivo ed emozionale di ciascun individuo.  R.P.

La Pace

Le cose distanti
assenti al nodo delle mani
si lasciano alla corrente dei venti
come si fa con la vela in mare.
Dimmi
questo spartiacque diradato
è il mio passo breve?
Di Rita Pacilio


Enrica Meloni

Il mio pensiero sulla pace:
<<-Nulla diverge dal mondo come il claudicare delle disuguaglianze umane, denigrabili atti, acri ed anguste azioni discriminatorie, insorgono lesive nella dignità di ciascun individuo. La poesia, mai effimera, coraggiosa parabola, che sorvola indelebile le vette del riscatto. Voce, priva di pentimento, spiritualità mutata in ogni pertugio d’animo, che silenzioso irrompe nella richiesta di un benestare. La pace come diritto inalienabile dell’uomo, fonte che placa qualsiasi arsura d’amore e di quiete. Non esisterebbe endecasillabo alcuno dalla scarsa efficacia, se il poeta, unendosi ad altri ricercatori del diritto, continuasse a lottare per la conquista della meta vitale: la libertà, quell’emancipazione ad esser attori del cosmo senza copione, divenendo autori di sé nel sacrosanto agire delle proprie salutari e mansuete intenzioni. La pace, un cammino decisamente sinonimo di civile e mai tormentata dimora , riposo dal travaglio, comunicazione prossima con i sorrisi di sguardi circostanti. Il dualismo tra poesia e pace non è vano, è una sommatoria di molteplici elementi, sfociati in un risultato aggradante : la serenità di corpi, animati dal piacere interiore d’esser rete sociale attiva, mente gioviale verso la costruzione del bene condiviso->>.

La mia poesia
Di vital sospiro sortirà ogni vocabolo,
anfratti d’esaustiva matrice d’anima,
solarità d’impulso soave.

Concetto d’un aforisma di saggio rimarcar,
madre temporale dell’aittanza morale,
massima espression d’un albergar emozionale.

Insostituibile e combattiva essenza,
sii tu nobil firmamento d’indelebil inchiostro.
D’un creato mirabile beatifichi cartigli mortali.

Passion di fedel amor,
assenza d’un paradosso indiscusso,
membro ammirabile, sii tu mia poesia.
( Tratto da pag.35 “Eventi in versi” Edizioni la Rondine, Catanzaro 2012)

Fautrice di grazia
Veemente, risorgivo e sublime gaudio melodico.
Posar di maestria, loquace consorte diva.
Ammirabil femminilità, vestale d’una sol virginea essenza d’un sonoro etereo.

Risuonabil cantico di fascinose note che van ammaliando sinapsi d’autore.
Pronunciar lirico, portatrice d’un rallegrante battezzar che di quiete, ravviva la posa tua.
Fautrice d’un diaulos prestante.

Virgulto poetico d’ogni moral pentagramma.
Ispiratrice di un’emozionalità contro effimere stasi di cuore.
Foce d’un plateal sussurro, parlamento d’un’egida sagace.
Sii tu, Euterpe, manna d’ogni arte che di te porta l’essenza.
( Tratto da pag.22 “ Eventi in versi” Edizioni la Rondine, Catanzaro 2012)


ENRICA MELONI E LA SUA OPERA “ EVENTI IN VERSI”, UN PARTORIR D’ANIMO NELLA PACE DELLA RIFLESSIONE SOCIALE.

Eventi in Versi è un testo che include cinquanta componimenti poetici, trattanti contenuti plurimi, mai monotematici ma spazianti nelle varie sfaccettature della quotidianità umana. Versi che si delineano nell'interpretare soggettivo del lettore, non possiedono accezioni d'autobiografismo, ma rappresentano uno spaccato sociale di quelle che sono le diversità esistenziali dell'uomo. Vicende, momenti, istanti che si ramificano in un excursus differenziato nell'interiorità dei protagonisti innominati delle strofe.  Eventi in versi, un titolo non casuale, bensì l'apice del procedere di vite contemporanee che s'incontrano nel contesto moral-sociale dell'opera. In esso, momenti di travaglio umano, paralleli a realtà di pace che solamente la beltà della poesia potrebbe contemplarli.
CHIUNQUE DESIDERASSE L’OPERA POTREBBE INVIAR UNA MAIL  ALL’INDIRIZZO : enricamln@libero.it


LA POESIA NEI PROFONDI SENSI DELLA PITTURA.
Shikanu', pittrice in anima e poesia.

Chiedo troppo.

Parte da qui la mia idea di pace,
da un bambino.

Un bambino,
basterebbe pensare ad un solo qualsiasi bambino
 per gettare le fondamenta solide di una pace duratura.

In ogni situazione in ogni contesto con chiunque dovesse capitarci di fronte,
basterebbe pensare :
dentro di te c'è quel bambino che sei stato
 e che era innocente
e pieno di aspettative di amore
esattamente
 come io sono stato un bambino innocente pieno di aspettative d'amore.
Con questa idea costante ,
 chiedersi se quel superfluo che vogliamo è davvero così irrinunciabile
sapendo che per averlo quel bambino dovrà fare a meno dell'indispensabile.

Certo
detta in questi termini sembrerebbe un'utopia visto che tutti ( io compresa) non viviamo proprio con il minimo indispensabile, ma sarebbe già un grande passo se ad ogni piccolo capriccio che soddisfiamo ci togliessimo sette piccole cose che non ci interessano più o che ci interessano meno.
Se ad ogni pretesa che abbiamo avanzato ad altri ci prodigassimo per sette piccole cortesie .
Se per ogni perdono che ci hanno concesso noi ricambiassimo con altri sette perdoni.

<<-Se per ogni " ti voglio bene" che ci dicono noi ricambiassimo con un " ti voglio bene" ad altre sette persone e non detto così tanto per raggiungere il numero sette ma scovando dentro di noi la voglia vera di voler bene agli altri, a quel bambino che è dentro di noi e che è lo stesso che è dentro ciascuno di noi.
Con un impegno così ci sarebbe poco spazio per minare la pace.
Questo detto fin qui è la mia personale ricetta.
Come artista invece (nonostante alcuni meno attenti dicano che la mia arte appare cupa ,triste..tragica) sono sempre alla ricerca della luce che traspare dai coni d'ombra dell'uomo....e non è quella luce forse messaggera di pace?
  Scavando nelle miserie umane ci si avvicina di più alla comprensione delle stesse, e più ci si avvicina più ci specchiamo e più riconosciamo noi stessi negli altri e gli altri in noi.
E' molto difficile trovare nella mia arte qualcosa che sia staccato dall'uomo, (forse nei miei lavori giovanili) è negli occhi e nelle azioni dell'uomo che trovo quel bambino e che tento di farlo vedere agli altri.
Per questo non mi piace chi si vuole comprare un dipinto per abbinarlo al divano, mi piace chi compra un dipinto perché si riconosce o mi riconosce come altra parte di se.
Perché percepisce un messaggio ( che sia intenzionale o meno da parte mia poco importa)che sia motivo di riflessione e di crescita personale.
So che può sembrare presuntuoso, ma credo sia comune in tutti gli artisti cercare di far vedere qualcosa che sia difficile da spiegare verbalmente, e tutti gli artisti veri sentono la responsabilità di ciò che tentano di trasmettere e nessun artista vero si prodiga per fomentare l'odio->>.



L’ARTISTA PRESENTA LA SUA OPERA:


Bicchieri
<<-"Bicchieri”. Mai mi stacco dall'uomo e dal desiderio di pace, sono quatto e sono insieme i due in piedi stanno stretti ai lati di quelli che cadono per non farli rotolare fino a rompersi, e sono vuoti non di contenuti, ma per fare spazio alle gocce degli altri, e sono di vetro, fragili e al tempo stesso forti, come tutti noi, come gli amici che si amano, come dovrebbe essere questa grande famiglia che è l'umanità che invece troppo spesso scorda la sua natura di "vetro" e corre velocemente perché vorrebbe la luna e non si accorge che negli occhi ha già una stella->>.


Claudio Moica.

 I Versi dell'autore, cosmopoliti gesti all'unanime accoglienza d'uguaglianza. Pace, sensazione udita dagli echi dei silenziosi bramare umani. Una voce dalla paternità poetica che acclama arte sociale: la parità spirituale in ogni individuo, meritevole d'esser innalzato al cantico della quiete.


MANI IN AMICIZIA

Nei sogni di libertà
un volteggiare di mani.
Mani nere
emigranti
con profumi d’africa;
mani bianche
illusione
di cieli ritrovati.
Unite in preghiera
di un Dio Maestro
giudicante
senza voti di verifica.
Protese
in segno d’amicizia
perché i colori siano di primavera,
serve
dei cuori puri
affinché i torrenti non delimitino i prati diversi.
Mani prese
in girotondo infinito
con ellissi orbitanti d’Amore
escludenti di spazio all’incerto,
solo
con auree lucenti
d’invito all’unione.
Mani strette
in catene di nuvole
libere nel vento
essenza di contemporaneo futuro.



RINGRAZIANDO GLI ARTISTI PRESENTI NELL’INSERTO, RIVOLGO UN PARTICOLARE SALUTO AI LETTORI, CHE SIA A LORO POESIA IN OGNI ATTIMO DI PACE.
Pace,
apice d’apostrofi indelebili,
vitalizio atteso,
sospiro privo di termine.
Lode all’anima,
di chi porgendo la mano
sillaba mai vana sarà.

( Enrica Meloni)
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