mercoledì 19 ottobre 2011

Un viaggio allegorico attraverso il poema dantesco.




La peculiarità del poema allegorico è sostanzialmente basata sulla divulgazione e trattazione d’argomenti di matrice religiosa o di stampo etico-filosofico, contenuti che sono narrati attraverso l’utilizzo di concetti simbolici, icone dell’immaginario umano che necessitano di un’accurata attenzione ed interpretazione. Il processo allegorico non è altro che l’attribuzione d’un significato differente da quello originario, che rende alla parola di base un carattere di potenziale rivisitazione, il vocabolo in questione non è ciò che in realtà è mostrato letteralmente sul testo, in quanto realmente esprimerebbe un significato differente.



 Il contesto medioevale rappresentò il vero fulcro all’interno del quale questa metodica poetica ebbe vigore e successo, la si considerò una soddisfacente forma di didattica, giacché attraverso la giocosità dei termini fu comunque capace d’insegnare e diffondere dottrine e contenuti di vario genere. Uno strumento letterario dall’accezione accademica, per mezzo del quale le complessità filosofiche furono comunicate ai didatti con una chiave di linguaggio lontana dal consueto formalismo. Tale tipologia di poetica consentì agli autori di poter comunicare i loro contenuti attraverso icone, immagini mentali che fossero in grado di suscitare interesse al lettore per la loro funzione figurativa, solitamente complicata, ma decisamente più interessante e coinvolgente durante la lettura. Lo scopo primario del poema allegorico  fu quello di concedere al lettore d’esser coinvolto nel processo di ricerca del significato reale dei termini e dell’intero contenuto convertito in un’allegoria dalla necessaria traduzione interpretativa.



 Il percorso di lettura e comprensione dei testi avvenne grazie ad un meccanismo psicologico, durante il quale la stessa mente fu indotta implicitamente ad accostare determinati significati ai concetti stillati sui versi. L’elemento cardine dell’allegoria fu la presenza di figure visive, descritte dall’autore, il quale ponendole in evidenza s’accinse a sostituire normali parole da dizionario mostrandole così in un’ottica quasi vissuta, platonicamente impalpabile ma emozionalmente vivibile. Non è sottovalutabile l’influsso positivo e professionale che l’abilità in codesta arte ottenne, giacché la riuscita di tutto ciò comportò inevitabilmente a far si che l’autore fosse adornato d’un divo misticismo artistico degno d’ossequio.


 L’emblema letterario per eccellenza pregno d’allegorici contenuti è l’iter poetico presente nei versi della Divina Commedia di Dante Alighieri. L’opera è un poema, la sua composizione è strutturata in tre cantiche denominate: Inferno, Purgatorio, Paradiso. L’opera è costituita da cento canti in versi endecasillabi, suddivisi in trentatré canti per ogni cantica con l’aggiunta di un canto proemio, scritto in terzine a rima incatenata ed un singolo verso di chiusura al termine di ciascun canto. Il percorso Dantesco è leggibile anche attraverso la stessa rappresentazione grafica del racconto, mediante una struttura concentrica dei gironi metafisici che meriterebbe una trattazione a sé. Il tutto viene nel medesimo tempo riportato in parole attraverso tre tipologie allegoriche, approfondite grazie ad una chiave di lettura avvincente, ovvero il viaggio e l’incontro, un accorgimento frequente anche nel modello del Romanzo Cavalleresco sviluppatosi in Toscana nella seconda metà del Duecento e nei primi del Trecento. Analizzando gradatamente la stesura, occorre dar esame al concetto paradisiaco, alla morale in esso occultata ed all’intento accusatorio che lo stesso Dante volle esprimere attraverso un messaggio subliminale circa i personaggi resi protagonisti dell’excursus in tappe.
In primo luogo s’analizzi l’immaginario infernale, denotando così un contesto figurativamente abitabile, rappresentato da un gorgo di forma conica rovesciata, del quale il turbine vorticoso s’addentra nella parte centrale della terra. La discesa verso l’incanalatura permette il raggiungimento del fiume Acheronte, del Limbo fino al proseguimento verso i nove cerchi delle tormentate ombre dei dannati, icone dall’inguaribile sofferenza, perpetrate nell’abisso del travaglio illimitato donatagli dal contrappasso, legge assoluta per il loro penare. Un dirigersi verso le peccaminosità molteplici, divenendo testimoni di rei dalle colpe capitali, dalle infamie contro la Provvidenza e la sua opera, seguiti da coloro che divennero portatori d’eresia nelle sue più svariate forme. Un addentrarsi sino all’esser testimoni d’un Lucifero alato in atto, cibatosi dalle sue tre bocche di vili e traditrici personalità quali Bruto, Cassio e Giuda. Quivi si ponga attenzione alla strumentalizzazione dell’immaginario, concretizzato nel dialogo di personaggi negativi per il contesto storico-sociale dell’umanità. Un disdegno in cerca di giustizia rappresentato dalla punibilità infernale, sofferta e travagliata come quasi pareggiarla al dolore patito dalle vittime di chi visse sul suolo terreno piangenti pene causate da coloro che sono collocati nell’inferno Dantesco. Una
collocazione di demerito, una carcerazione spirituale e non, intenta in chiave allegorica ad un fine ultimo: la condanna.



III CANTO INFERNO


Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,     24
per ch’io al cominciar ne lagrimai.


Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,          27
voci alte e fioche, e suon di man con elle

facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.      30


La medesima tecnica è applicata anche nel contesto del Purgatorio, analogamente dalla forma conica, ma dal vertice rivolto verso l’alto. Evidente la presenza del Monte Antipurgatorio che precede il Purgatorio vero e proprio, strutturato in sette ripiani composti da una parete interna avente il lato rivolto verso lo stesso monte, in contrapposizione dal lato esterno confinante invece con il vuoto. Mentre nel primo caso vi si pose in risalto la figura diabolica, in questo è evidente l’utilizzo della figura angelica che diviene guida delle anime purganti, giunte sul luogo tramite una surreale imbarcazione. La realtà del Purgatorio per quanto anch’essa sia destinata alle peccaminosità, ospita nei suoi meandri tipologie di peccati meno gravose e non irrimediabili quali: vizi personali, mali morali verso terzi, comprendenti questi tutte le forme d’invidia e superbia, attaccamento verso i beni materiali ed indifferenza verso Dio. Questa seconda parte preclude una stesura dall’essenza mediatrice, per mezzo della quale lo stesso autore condanna gli egocentrismi umani, riuscendo comunque a contrapporli in fatto di gravosità ai precedenti, delineando cosi la non categoricità della pena, ma il travaglio e l’impegno verso una possibile redenzione. Nulla di più consono a ciò fu possibile se non attraverso l’allegoria del


Purgatorio, una purificazione di coscienze parlante ed agente, inscenata ottimamente in un contesto non terreno.



I CANTO PURGATORIO


Lo bel pianeto che d’amar conforta
faceva tutto rider l’orïente,
velando i Pesci ch’erano in sua scorta.    21

I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente.   24


Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle:
oh settentrïonal vedovo sito,
poi che privato se’ di mirar quelle!          27


In terzo luogo, il metodo allegorico dantesco tratta il contesto paradisiaco, nel quale ogni beatitudine diviene protagonista di prim’ordine. Il Paradiso presenta una struttura di nove fasce concentriche, le quali sono disposte in nove cieli, attorno dei quali vi è l’Empireo, generato da una luce incorrotta, un fascio luminescente d’armonioso vedere. La forma strutturale è quella di un anfiteatro, sulle quale scalinate è possibile contemplar le anime sedute in procinto di contemplazione divina. Si denota la movenza dei nove cerchi intorno al Creatore, sfere nelle quali permangono le varie
meritocrazie, le più distanti dal sommo spirito sono quelle afferenti ai meriti acquisiti nella vita terrena. Anche in questo caso l’ingegno dantesco attraverso l’utilizzo delle icone salvifiche pone in risalto la supremazia di un bene che necessita un profitto di quiete come ricompensa e merito decisamente e pregevolmente conseguiti.





I CANTO PARADISO



 La gloria di colui che tutto move                             
 per l'universo penetra, e risplende   2.
in una parte più e meno altrove.
 Nel ciel che più de la sua luce prende               
 fu' io, e vidi cose che ridire
 né sa né può chi di là sù discende;    6.
 
 perché appressando sé al suo disire,                      
 nostro intelletto si profonda tanto,        9.
 che dietro la memoria non può ire.
  Veramente quant'io del regno santo                 
  ne la mia mente potei far tesoro,
  sarà ora materia del mio canto.     12. 








ENRICA MELONI


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