venerdì 30 settembre 2011

Cronologia poetica





La poesia imprime a sé un aspetto poliedrico, il suo fine non è da ricercarsi nella sola necessità della piacevolezza del narrare, bensì si rammenti che, agli albori ebbe tra gli obiettivi preminenti quello d’esser mezzo d una trasmissione, non solo di fatti ed avvenimenti, ma anche esser uno strumento valido del tramandar aspetti antropologici e culturali d un determinato popolo. L’iniziale sua oralità, implicava un’implicita valenza d’ereditarietà intellettuale non indifferente. Fu, ai suoi primordi, una monopolizzatrice utile di lasciti morali e non, catalogatrice delle radici autoctone d una determinata discendenza. Un mezzo che tacitamente permise l’ereditarietà culturale d ogni singolo patrimonio storico. Il concetto par desueto, ma documentabilmente esso s’asserisce ad eventi empiricamente comprovabili, si ricordino i precursori della cultura contadina, citata nel precedente percorso, essa, incanalò in sé l’usanza del Canto a Batocco, una primordiale forma di poesia, caratterizzata dall’oralità e da una dialogica diretta, per mezzo della quale la comunicazione avveniva con ravvivante enfasi, giungendo poi ad un dibattito di scherno o rivalità. Per quanto ciò possa apparir teatrale, in realtà, diviene uno strumento, predisposto a dar rimostranza sul come la società dell’epoca appariva, elementi che si basano sulle usanze italiche, dal momento in cui tale forma poetica nacque proprio al centro della penisola. Ovviamente le reali origini della magnificenza di quest’arte sono assai più remote. Il XVIII a. C. diviene una valida datazione per far si che le popolazioni baltiche, residenti prevalentemente in Finlandia, divenissero i padri di questa tecnica comunicativa, già in tempi antecedenti al loro spostamento verso Mediterraneo, Grecia e al concepimento della civiltà Egea. I contenuti trattati nel loro poetare, riguardavano sostanzialmente prodezze di carattere epico, riferimenti di stampo mitologico, onorificenze eroiche, amorosità d’ogni sorta, compostezza verso il culto dei defunti, odi alla podestà genitoriale, alternate da un narrare spesso leggendario e mitico. Tali narratori ebbero la denominazione di Aedi o Cantori. I riferimenti alle collocazioni storiche dello sviluppo, sono contenuti negli excursus del pensiero d’illustri intellettuali, i quali fecero del classicismo, una disciplina alquanto soggetta ad importanti esegesi. Plutarco nel 120 a.C., studioso dell’ellenismo e società romana, fece le sue constatazioni a riguardo, così come al pari di esso, le fecero Gian Battista Vico, collocabile tra il 1668 ed il 1744 e Michel de Mountaigne, vissuto tra 1533 ed il 1592. Entrambi furono concordi sulla stesura dei massimi poemi omerici, ovvero l’Iliade e l’Odissea, le quali, a parer delle loro teorie le vicende narrate, non furono da addebitarsi al territorio greco bensì accaddero nella zona baltica. Altro elemento sorprendentemente opinabile è che venne da essi sostenuto anche il fatto che lo stesso Omero, non avesse la paternità delle opere, ma che queste ultime invece, fossero stare redatte da diversi scrittori, dal momento che presentavano una differenza di cinquant’anni l’una dall’altra. La contemporaneità dona conferma a queste teorizzazioni, un emblematico sostenitore della tesi plutarchica è il Prof. Felice Vinci, il quale ha dato un netto contributo allo studio della poetica nei secoli, grazie ad un approfondito percorso di studi rivolto alla questione Omerica, un iter che in un decennio ha generato rilevanti scoperte che non smentirebbero i suoi predecessori. L’avvento della stesura scritta dei testi poetici, fu succeduto dalle figure Rapsodiche, le quali facendosi garanti dell’apprendere a memoria i testi scritti, furono soliti apprenderli con l’invidiabile capacità di lasciarli invariatamente immutati. Il mutamento e l’interpretazione delle scritture avvenne per mano dei Cantastorie, dei Cantori e dei Menestrelli, plasmate da questi con un diverso utilizzo, sonorizzato in ballate e teatralità. Fattori che poi vennero ereditati nella molteplicità delle territorialità. Menzionando realtà più recenti, si appura che i paesi anglosassoni, sono tuttora conservatori della modalità orale, resistente emblema d un patrimonio linguistico mai decaduto ma
rafforzato nei decenni. Un flashback del passato, conduce questo percorso cronologico verso l’epoca romana, periodo alquanto raffinato per l’arte poetica, dal momento che questa presentava una sua consolidata struttura stilistica già avviata. Essa era di carattere quantitativo, ossia, basata sull’alternanza tra sillabe lunghe e brevi, diffusasi attraverso il metro dell’esametro. Tutto ciò manifesta le basi salienti sulle quali l’evolversi di quest’arte avvenne. Il percorso temporale presenta altri contesti ed altre epoche, infatti, successivamente all’XI secolo, il volgare, che in un primo momento fu una forma dialettica, parlata dal popolo, divenne poi un idioma letterario, che inglobò tutte le metamorfosi degli stili e delle tecniche poetiche. L’Italia, patria dantesca, afferma tale arte, come mezzo d’intrattenimento letterario in forma scritta. In aggiunta, non ci si scordi dell’ascesa della poesia Burlesca, collocabile al 400’. Nel XIX secolo, la nascita del concetto artistico di questa stessa arte, incentiva un ulteriore mutamento, le schematiche metriche, le varie norme stilistiche decaddero gradualmente, riversando l’attenzione del far poetica, verso canoni più libertari, nei quali il verso sciolto prese il sopravvento, eliminando persino l’utilizzo della rima, e comparando la stesura nella massima espressione spirituale della libertà individuale. La contemporaneità per quanto sia ispirata all’evasione dai dettami severi della metrica, spesso conduce la stessa poesia a decadere nel mero baratro di versi, i quali eccessivamente liberi, rischiano d’esser pura e netta prosa e mai pura e sincera poesia. Un viaggio tortuoso, metamorfico e adorno d’innovazioni, accostato però da un’enigma, esisterà ancora l’epoca nella quale la poesia possa restar tale e non esser una mera emulazione di se stessa?




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