venerdì 30 settembre 2011

Recensione componimenti Claudio Moica

 



Vertigini di vita







Annebbiati
passano nella mente
sfuggenti vertigini di vita.
Sinuosi,
come fianchi di donna,
scendono quando s’innalza il profumo della vita.
Attirano
miscugli del sapere
e lasciano nell’aria
pulviscoli del niente.
Ondeggiano
sicuri capitani del mare in tempesta
flettendo qua e là
dove il vento sospira furente.
Vivono
fino al crepuscolo
dove muoiono,
lasciando l’energia della conoscenza
ai resistenti,
lontani dai clamori dell’effimero.
( tratto da Vertigini di Vita di Claudio Moica)
Non è la sera che vago
Non è la sera che vago
ma il giorno percorro sentieri di pietra
senza che ci sia ragione di andare
disordinatamente vagabondo.
Riflessi di memoria sparita
con te che sbirci curiosa
il movimento del pensiero
aggrappata all’illusione del sorriso.
Dio non ci ha salvati!
Fingersi perduti e morti
tra le mani che urlano il mio nome
per non accogliere la vita.
Tradire la voce fievole
con sussurri di sincerità
in attesa dell’ombra fugace
per rubarti l’attimo del piacere.
Dimenticare lo spazio dell’attesa
limitando l’ossessione del vento
ho rotto il suono della campana
perché non è festa di domenica.
Esiste una leggera melodia
che strappa le radici alla quercia
tu lo sai quale è il tempo della semina?
Non perdere il tracciato dell’aratro.
(tratti da Di ala in ala quartine 6 di 9 pag.33 di Rita Pacilio e Claudio Moica)
Claudio Moica, un poeta dalla crescente completezza.
Nasce nel 1963 a San Giovanni Suergiu, località sarda del Sulcis Iglesiente. Un crescere alternato tra la Sardegna e la Toscana, simbolismo altrettanto poetico, equiparabile alla stessa alternanza delle accurate rime dei suoi componimenti. Versi nei quali lo stesso Moica non tralascia la scia del Neruda, venerando d’amore ed indiscusso narrator di naturalezza passionale. Conosciute le sue opere Oltre lo sguardo. Edizioni il Filo, 2005. Angoli nascosti. Edizioni il Filo, 2008 e l’ultimo romanzo a quattro mani con la poetessa e scrittrice Rita Pacilio. Lasciati tradire. Edizioni il Filo, 2010. Lo stesso Moica non è da considerarsi meno, le sue stesure ne sono fervida conferma. Battaglieri percorsi esistenziali, ma mai esenti da passionali palpiti. La città Fiorentina diviene sfondo sul quale iniziar ad intraprender la sua carriera di poeta, quivi conobbe Luigi Natale, dal quale apprese la poesia ermetica di Mario Luzi. Una carriera propensa alla crescita. Le sue produzioni lo dimostrano. Vincitore di numerosi premi letterari tra cui spicca quello ricevuto alla “Biennale di Venezia della poesia” con la lirica “L’uomo nella torre”.
E’ presente in varie antologie di poesie. Ha collaborato insieme a personaggi del mondo della cultura e politica nazionale alla stesura del libro patrocinato dalla Presidenza del Consiglio della Regione Sardegna “Canne al vento in ricordo di Grazia Deledda”. Nel 2010 la Croce Rossa Italiana gli conferisce la medaglia commemorativa “Per aver, con competenza e dedizione non comuni, contribuito a scrivere una delle pagine più epiche ed esaltanti della storia dellaC.R.I.”.E’ direttore artistico della Fiera del libro del Sulcis-Iglesiente”.

L’estro poetico del Moica correla un palese iter di nitida costruttività dell’espressione compositiva, un’accurata maturità strutturale, nettamente evidente nel rapportare i componimenti giovanili con quelli attuali. In primis si denota una basilare conoscenza stilistica. Il testo è apparentemente semplicistico, ma al suo interno annovera elementi di una potenziale crescita poetica, confermatasi poi effettivamente nel corso degli anni. Il primo componimento Vertigini di vita. Lampi di stampa, 2004. Collana Narrativa e poesia, pp. 69. Euro 6,00, si presenta con l’utilizzo del verso sciolto, peculiarità evidente data la mancanza di rime. Non vi è uno specifico numero di versi prefissi e lo schema della strofa è certamente libero. I versi divergono per lunghezza ed accentazione, si denota una variante di senari, settenari ed ottonari, non tralasciando anche la presenza di un bisillabo. Con frequenza notiamo settenari sdruccioli, i quali non sono suddivisi nelle classiche sette sillabe, ma s’adornano d una precisa regola, ovvero appaiono in otto sillabe con l’accento sulla terz’ultima . Un elemento che rimarca le reali doti del giovane poeta in crescita. Così come la scelta d’ottonari piani che si riversano nella sonorità dell’accento presente sulla penultima sillaba. Aspetto confermante il fatto che anche la scelta del verso sciolto possiede la sua semplice raffinatezza.
La tipologia della ritmica appare lenta, lo stesso autore narra un percorso mai lineare, ma notevolmente atto a rimarcare le tortuosità esistenziali che, verrebbero meno, nel momento in cui l’individuo non cessasse mai d’esser cosciente d’ ambire intrepidamente la propria reale quiete esistenziale. Non tralasciabile l’utilizzo dello iato, leggibile in quel fluttuando qua e là, e di quell’irrinunciabile enjambement, il quale diviene apertura del testo con l’inarcatura di quell’Annebbiati passano nella mente, una conferma di quanto l’autore si fregiasse forse inconsciamente d’innata poesia. La metamorfosi stilistica si palesa nella contemporaneità, il frammento d’alcuni versi tratti da Di Ala in Ala. Lieto Colle, 2011. Collana Aretusa, pp. 76, illustrato. Euro 13,00, rinnovano lo stesso autore anche nel confronto epistolare, giunto in simbiosi per mezzo di un dialogico poetico condiviso con maestria da Rita Pacilio, non un semplice duetto, ma un congiungimento avvincente, segno emblematico di quanto la cooperazione di un connubio possa render un’opera passionalmente travolgente. Il trapasso dalla semplice strofa libera, in questo caso, si nota grazie all’utilizzo di una vera e propria suddivisione in strofe, in questo caso sei, tratte dalle nove del componimento originale. Esse sono a loro volta spartite in quartine con una prevalenza della rima baciata, la quale si distingue dall’assenza precedente rilevabile nel primo componimento. Immancabile la presenza del verso ottonario, e dell’endecasillabo, accostati però dall’innovazione del doppio settenario. Versi che donano alla ritmica una nota calma e contemplativa. Un vissuto mai statico, lungi da empie forme di monotonia, umano travaglio vero, ma anche sete d una ricerca di ciò che si brama, come quasi fosse un canto al diritto di quel ritrovar se stessi soprattutto quando ci s’incontra con l’altro. Un percorso graduale, speranzosamente travolgente attraverso il quale l’immortalità dell’esser vitali non s’annulla mai.


ENRICA MELONI
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